I colloqui analitici consistono nell’incontro regolare di due persone per un certo periodo di tempo.
“Due persone trascorrono un tempo indefinito a parlare in una stanza”, spiega la psicanalista Luciana Nissim Momigliano; terapeuta e paziente si ritrovano ad instaurare una relazione all’interno uno spazio stabile e relativamente tranquillo, sicuramente al riparo dalle battaglie quotidiane che ci si ritrova a dover affrontare al di fuori dello studio. Questa relazione si viene a costituire con la sua paziente costanza. Lo scrittore Atiq Rahimi la chiama sang-e sabur, la pietra paziente, che, nella mitologia persiana, si tiene accanto per confidarle tutto quello che non si può rivelare a nessun altro, riversando su di lei i propri malesseri, le sofferenze, i dolori e le miserie. La pietra ascolta, assorbe tutte le parole e tutti i segreti, finché un giorno esplode e colui o colei che le ha confidato tutti le sue emozioni e i suoi sentimenti non sarà “liberato”.
Andando al di là della mitologia, ritengo che qualsiasi relazione che ci permette di trasformare le nostre paure, i nostri timori, le nostre preoccupazioni e pene è una sang-e sabur, una pietra paziente; ed è anche quello che si cerca di realizzare all’interno della relazione analitica tra terapeuta e paziente.
Paziente e terapeuta, dunque, avendo come importante compito quello di usare la pazienza, si possono trovare, in più occasioni e per ragioni differenti, ad avere la sensazione di stare parlando con una pietra. Di trovarsi di fronte ad un qualcosa di inscalfibile ed immodificabile, per ciò che concerne il terapeuta; oppure di avere l’impressione di dire sempre le stesse cose o di tornare ogni volta ad affrontare gli stessi errori e gli stessi schemi, da parte del paziente.
Quello che però avviene nel paziente, dunque, è di vivere la possibilità di confrontarsi con le proprie emozioni pietrificate, con le parti dure e represse della propria personalità che, a volte, non si tollerano o che bloccano il cambiamento.
Durante questi incontri si presuppone che una delle due parti, il paziente, ripeta le sue visite regolarmente e che l’altra, lo psicologo analista, offra tutto sé stesso, la sua esperienza, la sua conoscenza, tutta la sua attenzione e il suo “ascolto gentile”, come direbbe candidamente lo psichiatra Eugenio Borgna.
Inoltre lo psicologo analista è stato un tempo anch’egli un paziente e questo gli permette di comprendere con maggiore sensibilità ciò che sta avvenendo all’interno della relazione analitica.
L’analisi personale, infatti, fa parte della sua esperienza di training (formazione).
Fin dall’inizio del percorso psicoterapeutico intrapreso sarà importante indagare la storia anamnestica del paziente, la sintomatologia esperita, le dinamiche interpersonali vissute dalla persona, fino a giungere all’analisi dei sogni. Il materiale onirico, infatti, può essere importante per in quanto, già Sigmund Freud, considerò il sogno la via regia per giungere ad indagare l’inconscio, cioè tutto ciò che ancora non conosciamo ma che è presente nel nostro mondo psichico.
Ad ogni modo, pur riconoscendo un ruolo necessariamente attivo da parte del paziente, è importante aver sempre presente la naturalezza dei colloqui e la necessità di mantenerli con la stessa frequenza e con lo stesso tempo.